Pesce fuor d’acqua.

Non credo di averne mai parlato sul blog, al massimo solo accennato, ma sono diversi anni che ho questa particolare sensazione, ovvero quella di sentirmi come un pesce fuor d’acqua.
Non mi pare di ricordare nemmeno a quante persone io abbia già rivelato questa cosa, ma non erro se dico che si contano sulle dita di una mano, se proprio ci vogliamo allargare allora sulle dita di due mani, ma dicendo così temo proprio di esagerare.

Una cosa che la società odierna ci vieta spesso di fare, o perlomeno non ci stimola a fare, è quella di guardarci dentro e chiederci: “Questo sono io, o è la maschera che mi chiede di portare la gente che mi circonda?
Premetto che in questo post potrei far largo uso di citazioni, e quindi mi tolgo subito il dente (e conseguentemente il dolore), con un primo rimando cinematografico:
The Mask, film commedia statunitense del 1994, protagonista Jim Carrey.
Il protagonista Stanley Ipkiss è un timido bancario che trova una maschera in grado di trasformarlo in un essere dagli enormi poteri e senza freni inibitori.
Dopo la seconda trasformazione, Ipkiss va dal dottor Arthur Neuman, autore del libro “La maschera che indossiamo” pensando che potesse dirgli qualche notizia in più sulla strana maschera che aveva trovato; il dottor Neuman riferisce ad Ipkiss la seguente frase:
Tutti noi indossiamo una maschera, metaforicamente parlando“.
In realtà non è la frase esatta detta nella pellicola, ma il succo è quello.
Anche in sociologia viene affrontato questo argomento delle “maschere sociali” o per meglio dire dei “ruoli” che ognuno di noi interpreta nei diversi gruppi di cui fa parte.
Esempio: io sono figlio e fratello nella mia famiglia; allargando il gruppo sono cugino o nipote di altri parenti; a scuola sono studente; nella mia squadra di calcio sono un difensore; nel mio lavoro sono un giornalista; e così via procedendo nel proprio gruppo di amici, conoscenti, eccetera.
In ogni gruppo in cui mi vengo a trovare, indosserò dunque una maschera, o interpreterò un ruolo a seconda dell’esigenza; non è che così mi ritrovo ad essere una persona diversa ogni volta, ma dimostrerò diversi lati del mio carattere, della mia personalità, del mio essere.

Dopo questa breve spiegazione ritorno al titolo di questo post: “Pesce fuor d’acqua”.
Sebbene io riesca a barcamenarmi da un gruppo all’altro, difficilmente riesco a sentirmi parte integrante di ognuno di questi gruppi. Ancor di più se andiamo ad analizzare i singoli rapporti con gli individui facenti parte di questi gruppi.
Insomma, il più delle volte, anche se posso non darne l’impressione, o non dare l’impressione di preoccuparmi di ciò, io mi sento appunto un “pesce fuor d’acqua”.
In questi ultimi anni, sono rare le volte in cui non mi sono sentito così, e appunto, le persone con cui mi sento veramente me stesso sono sempre poche.
A volte qualcuna di queste persone esce dall’orbita della mia vita, a volte vi rientra e a volte no; e qualche altra volta capita anche che qualche nuova persona entri a far parte della mia vita e non mi faccia sentire il classico “pesce fuor d’acqua”.
Persone con cui ti senti di poter dire tutto di te, di poter parlare di tutto, di non avere freni inibitori, di non avere limiti da importi, limiti che invece se superi con altre persone, sai che poi tutto non sarà più come prima, e col senno di poi ti rendi quindi conto che questi limiti erano invalicabili, pena la fine del suddetto rapporto.

Credo di essere appena arrivato alla conclusione della prima parte di questo post.
In realtà questa era tutta una premessa per parlare poi del motivo per cui ho deciso di scrivere tutte queste parole messe nero su bianco fino ad ora.
Un’oretta e mezza fa, ho letto su Facebook un post di uno dei miei contatti, e mi è venuto in mente quello che mi dicevano alcune persone sulle cose che scrivevo qualche tempo fa in seguito ad una depressione sentimentale.
Mi veniva detto: “Va bene Alberto, fai bene pure a sfogarti all’inizio, ma non puoi continuare a scrivere sempre le stesse cose, pubblicare gli stessi tipi di link eccetera eccetera. Se agli inizi la gente ti compatisce, successivamente si inizia a stufare di te, e non ti darà più retta anche se cambierai atteggiamento“.
Preso atto di ciò, iniziai quindi a far scemare questi interventi sul principe dei social network, e ben presto arrivai anche a rimuginare su altre cose da scrivere o da condividere, anche se non più inerenti al sentimento che provavo.

In pratica me ne son visto bene di spiattellare sempre e comunque tutto quello che mi passava per la testa, e ho notato un’altra cosa che in realtà mi rimase impressa anni prima.
Nel corso dei miei studi universitari inerenti la storia contemporanea e quella del cinema, mi sono imbattuto in questo film: “La folla” film muto statunitense del 1928, genere drammatico, regia di King Vidor.
Copio la trama parimenti dal link di wikipedia:
“È la storia di un individuo qualunque che vuole emergere dalla massa e non si accorge che le sue esperienze non fanno altro che ricalcare cliché consolidati.”
Suggerisco comunque di leggere questo link per maggiori delucidazioni.
Nel film ad un certo punto esce in sovraimpressione la seguente scritta:
“Ridi e il mondo riderà con te…piangi e piangerai da solo”.

Ed effettivamente tutto ciò è vero!!!
Combaciava perfettamente con quello che avevo passato, e sempre riferendomi a Facebook, ho notato come i post con più seguito (tra commenti e like) erano appunto quelli di felicità, di gioia, di traguardi professionali e personali raggiunti, e quasi mai a quelli più introspettivi, quelli in cui mettevo a nudo una parte di me cercando compassione, condivisione, interesse da parte della moltitudine di contatti del mio profilo.

Ricollegandomi a poco più sopra, ovvero a ciò che avevo letto un’oretta e mezza fa su Facebook, avrei subito voluto rispondere nei commenti, o anche mettere un “banale e asettico” mi piace sotto al post, ma ho preferito non farlo.
Non mi andava di entrare a far parte della “folla” del social network e ho quindi preferito dire la mia qui, nel mio spazio personale sul web, preesistente al mio ingresso in Facebook.
Ovviamente riporterò il link di questo post alla suddetta persona, privatamente.
Per quei pochi che ancora leggono il mio vetusto blog, e per quei pochi che si sono avventurati fin qui sotto nel continuare a leggere il mio sproloquio, riporterò anche ciò che avevo letto, ciò che aveva scritto questa persona:

“Ero solita pensare di essere la persona più strana del mondo ma poi ho pensato, ci sono così tante persone nel mondo, ci dev’essere qualcuna proprio come me, che si sente bizzarra e difettosa nello stesso modo in cui mi sento io. Vorrei immaginarla, e immaginare che lei debba essere là fuori e che anche lei stia pensando a me. Beh, spero che, se tu sei lì fuori e dovessi leggere ciò, tu sappia che sì, è vero, sono qui e sono strana proprio come te.”

Scusami se ho copiato tutto per filo e per segno, forse non volevi che questo venisse fatto, e difatti ci ho pensato più volte mentre scrivevo se farlo o meno, ma conoscendoti un poco, ho pensato che forse domani mattina ci avresti pensato su, e avresti quindi cancellato immediatamente quello che avevi scritto stasera.
Forse risulterò patetico, fuori luogo, e molto probabilmente anche banale, ma volevo risponderti qui dicendoti che anche io ho provato tutto quello che hai provato tu; e che la persona che tu vuoi immaginare essere da qualche parte nel mondo, forse è più vicina di quanto tu pensassi; che questa stessa persona che è riuscita a leggere tutto ciò è altrettanto strana quanto potresti esserla tu, ed infine che questa persona qua ti sta già pensando.

L’unica cosa che veramente mi dispiace è che tu non sia riuscita a capire prima quanto questa persona ti fosse già vicina, e che magari apprezzerebbe decisamente affrontare questi tipi di discorsi con te, e non per forza discutere sempre e comunque di argomenti ben più leggeri e che comportano meno pensieri ed elucubrazioni di questi di cui ho parlato finora.

IO CI SONO…

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