Come Donnie Darko, ma in cerca di una casa…

Ho ancora idee confuse su come fosse iniziato il sogno fatto stanotte. Il ricordo più lontano si riferisce al prendere un pulmann per andare non so dove. Su questo pulmann mi ritrovo con una specie di megafono con una tastiera alfanumerica sull’impugnatura, ed un pulsante a rilascio.
Questo megafono non serviva per aumentare il volume della voce, ma serviva a trovare le persone dovunque esse stessero, bastava digitare il loro nome sulla tastiera, e poi premere il pulsante come se fosse stato il tasto invio; dopo poco, quasi immediatamente, sul display presente sopra la tastiera uscivano immagini video e informazioni scritte sull’esatta ubicazione in quello stesso momento della persona cercata.

Digito il nome che mi interessava, ed esce un video di Lei, che faceva da comparsa in una fiction di canale 5, stile Cesaroni. Mi risulta incredibile che ora abbia intrapreso la carriera di attrice, e leggo quindi le informazioni scritte a corredo del video: “la… ed… el… mer…” le parole sono frammentate, e non si riesce a capire se quella sia la trama dell’episodio della fiction in questione, o altro.
Decido quindi di andare sul posto, a trovarla, a sua insaputa.

Arrivo in questo luogo, una specie di accademia della recitazione, con un’enorme aula a semicerchio, con tutta la parete come schermo cinematografico di fronte ai posti a sedere (divisi all’altezza del pavimento da sediolini in plastica stile aula universitaria, e gradoni tipo stadio subito dopo questi sediolini).
La trovo seduta lì sui gradoni, sullo schermo vengono proiettate delle scene che dovrebbero servire agli studenti come lezione di recitazione.
Lei mi vede immediatamente, e si altera della mia presenza lì; io le rispondo che non potevo farne a meno, avevo avvertito un brutto presentimento e sentivo il bisogno impellente di stare lì con Lei in quel momento.
Ad un certo punto, nel bel mezzo della ramanzina che mi sta facendo, sento da lontano un forte sibilo, istintivamente la prendo in braccio e corro dall’altra parte dell’aula, tempo pochi secondi e dove era prima seduta Lei, irrompe nell’edificio la fusoliera di un aereo che era precipitato da chissà quale altezza: se fosse rimasta lì sarebbe andato incontro a morte certa.

Senza dire più alcunché mi guarda negli occhi, e vedo che il suo sguardo nei miei confronti è cambiato: le avevo salvato la vita.

Non ricordo perché, ma questo sogno si interrompe, e ne inizia un altro. In quest’altro sogno, sono su un treno che si sta dirigendo in una località presso la quale i passeggeri del treno, potranno ricominciare una nuova vita.
Queste persone erano tutte dei superstiti di un disastro naturale che cercavano quindi un nuovo riparo, e in questo paesino abbarbicato su una montagna, il governo dava la possibilità a chi volesse di prendere possesso di un’abitazione gratuitamente, a patto che fosse la prima persona a mettervi piede. La vera e propria messa in atto del detto. “Chi prima arriva meglio alloggia”.
Sono da solo, anche io ero lì per cominciare una nuova vita, e credo di essere tra i primi a scendere dal treno e a correre verso quella che sarebbe diventata la mia nuova casa.
Con lo zaino in spalla corro per le vie di questo paese, alla ricerca del posto per me, ma incredibilmente trovo tutto occupato. Persino in alcune specie di scantinati, adibiti come meglio si potesse a cellula abitativa, trovo tutto occupato.
La sera sta calando, e di una casa da occupare non ce ne è nemmeno l’ombra, sempre con lo zaino in spalla, accantono per un attimo la ricerca, e mi dirigo verso la piazza del paese, dove è in corso una festa di benvenuto per tutti i nuovi residenti.
In piazza vedo persino Lei col suo nuovo ragazzo, ma visto che ultimamente si è dimostrata sempre indifferente con me, decido di non salutarla e vado verso il bancone del pub per prendere qualcosa da bere.
Mi si affianca un’amica, Nunu, che mi chiede se fossi riuscito a trovare una casa. “Ancora no” le rispondo, e mentre stavamo parlando, viene Lei verso di noi con un sorriso stampato sulle labbra sussurrandomi una frase che non riesco a capire.
Le chiedo di ripetermi le parole, ma un’altra volta non le comprendo; non voglio sfotterla, glielo faccio presente, e le chiedo gentilmente di scandire meglio la frase, magari con un tono leggermente più alto.
Sempre sorridendo, con un’aria innocente mi chiede quindi: “Per favore Alberto, puoi far finta che siamo di nuovo amici?” 

Resto basito da questa frase, veramente non so cosa risponderle, dopo tanto tempo che non ci parlavamo più come una volta. Purtroppo non so come è andata a finire, perché lo squillo insistente del telefono di casa, mi ha bruscamente svegliato, facendomi restare con un palmo di naso.

E ora?

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